La scuola-azienda che verrà? No, grazie.

Il Sindacato Indipendente degli Studenti e degli Apprendisti (SISA) pubblica oggi, dopo aver chiesto una deroga al DECS per poter rispondere alla consultazione, la propria analisi critica del progetto di riforma La scuola che verrà. Nel complesso, il parere del sindacato in proposito è sostanzialmente negativo: la riforma dipartimentale, a nostro modo di vedere, apre infatti le porte ad una potenziale svendita del sistema scolastico pubblico ticinese, in linea con le direttive europee in materia di formazione ma in aperta contraddizione con i principi educativi ufficialmente posti alla base del progetto (equità, inclusività, educabilità, ecc.).

Il primo nodo critico evidenziato è quello del cosiddetto “approccio per competenze”, il nuovo paradigma pedagogico definito dal Piano di studi della scuola dell’obbligo adottato nel 2015. Preconizzando un sostanziale abbandono dei saperi e delle conoscenze in favore di una vaga paletta di “competenze” più o meno trasversali, esso impoverirà terribilmente l’istruzione di base, favorendo l’emersione di altri attori educativi privati e for profit (a tutto svantaggio delle classi popolari, che non potrebbero sostenerne i costi e che verrebbero quindi private del diritto ad un’istruzione completa e di qualità).

In secondo luogo, il SISA ha accolto con un certo interesse le proposte di personalizzazione e di differenziazione pedagogica avanzate dal documento dipartimentale, in quanto prevedono una rivalutazione della classica e limitante lezione “frontale”, una partecipazione attiva dello studente alla costruzione dei saperi, un riconoscimento delle differenze di apprendimento presenti tra gli allievi e un superamento dell’attuale sistema di “livelli” che ha già dimostrato tutta la sua iniquità. Tuttavia, anche queste nuove prassi educative non sono esenti da alcuni sensibili rischi: la frammentazione eccessiva della griglia oraria e del programma scolastico potrebbero disorientare dei ragazzi ancora in pieno sviluppo psico-fisico, così come un lavoro laboratoriale eccessivamente precoce, in un contesto di abbandono dei saperi, potrebbe togliere ulteriori risorse e contenuti all’istruzione di base dei futuri cittadini. D’altra parte, la differenziazione pedagogica, se non supportata da degli investimenti adeguati, rischia di dar vita ad un sistema di “cristallizzazione” delle differenze di apprendimento (e quindi di quelle sociali che spesso ne sono all’origine), senza tentare di portare gli allievi al superamento delle proprie difficoltà.

Per quanto concerne la valutazione, abbiamo recepito con un certo favore la volontà di superare l’attuale sistema di valutazione sommativa che si rivela essere spesso poco rappresentativo della realtà personali: l’introduzione di una valutazione “partecipata”, fondata sul coinvolgimento dell’allievo e finalizzata ad una sua presa di coscienza circa le proprie difficoltà e i propri punti di forza è in questo senso da salutare positivamente. Nondimeno, lo strumento del profilo dell’allievo pone tutta una serie di interrogativi ai quali non viene purtroppo fornita una risposta soddisfacente: la valutazione per competenze permetterà una certificazione (peraltro prevista da HarmoS) degli apprendimenti informali ed extrascolastici, dando luogo a nuove dinamiche di selezione sociale? Quale sarà l’uso successivo di questa descrizione personale estremamente particolareggiata al termine della scolarità? Non vi è un rischio di perdita di privacy nei confronti dei futuri datori di lavoro o delle autorità, o di una “schedatura negativa” capace di condizionare i destini sociali e professionali dei cittadini?

Infine, ci preoccupa in modo particolare la volontà di concedere una crescente autonomia amministrativa agli istituti scolastici: tale decentralizzazione dei sistemi scolastici si inserisce nel movimento di riforma promosso da organizzazioni sovranazionali come UE e OCSE, il cui fine ultimo è quello di permettere l’intervento del capitale privato all’interno delle istituzioni scolastiche, migliorando la corrispondenza tra di esse e le esigenze del mercato. Tutto ciò ha però già più e più volte dimostrato (si veda ad esempio il caso dell’Italia) di essere fonte di nuove importanti discriminazioni nell’accesso alla formazione: creando di fatto una vera e propria “scuola a due velocità”, l’autonomia scolastica e l’apertura ai finanziamenti privati (non prevista dal progetto di riforma, ma che siamo certi non tarderà a manifestarsi nei tempi a venire) svantaggerà le sedi e le classi socialmente o geograficamente svantaggiati (come potrebbe essere il caso per le scuole di valle o di periferia).

Le nuvole che si raccolgono sulla scuola pubblica ticinese non promettono dunque nulla di buono, specie se si considerano i tentativi di accelerazione della destra neo-liberista: l’iniziativa parlamentare di AreaLiberale La scuola che vogliamo (che difficilmente avrà vita facile in parlamento, ma che prepara il terreno a future offensive) propone infatti di introdurre fin d’ora il modello di “scuola-azienda” elaborato da UE e OCSE, saltando a piedi pari la tappa intermedia costituita da La scuola che verrà. Quest’ultima infatti, benché non preveda ancora molti degli strumenti necessari ad una completa mercificazione dell’istruzione (la libertà di scelta dell’istituto, la pubblicazione dei risultati delle singole sedi, il finanziamento privato del sistema scolastico, ecc.), costituisce il primo passo verso questo orizzonte e ne condivide parte delle logiche e derive.

È per questi motivi che il SISA combatterà il progetto di riforma del DECS, promuovendo una massiccia politica d’investimento nella scuola ticinese (condizione sine qua non per poter sostenere anche solo una parte degli interventi prospettati) e attivandosi per costruire un’alternativa davvero di sinistra per il nostro sistema scolastico. Senza questo sforzo, il settore dell’istruzione (cruciale per far fronte ai cambiamenti socio-economici strutturali in atto in questi anni) verrebbe completamente abbandonato all’offensiva della destra borghese, più che mai motivata a mettere fine al carattere pubblico dei sistemi scolastici e a sottometterli alle esigenze dei mercati.

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