Sono i corsi di tiro per bambini la priorità della scuola ticinese?

In un contributo pubblicato ieri sul Corriere del Ticino, il granconsigliere de La Destra Paolo Pamini ha prospettato la necessità di introdurre dei corsi di tiro obbligatori nella scuola dell’obbligo, per far fronte all’apparente situazione di carente sicurezza personale nella nostra società e per prevenire la messa in atto di atti violenti da parte di criminali, terroristi & co.

Il SISA è sconcertato dalla disinvoltura con cui il deputato avanza delle tesi simili, arrivando a richiedere un’ancor maggior militarizzazione della società ticinese (la quale presenta già oggi un’altissima densità di armi per numero di abitanti: in Svizzera si contano ben 46 armi da fuoco ogni cento abitanti!), che comporterebbe una serie di conseguenze assai nefaste.
Un’ampia diffusione delle armi da fuoco nel tessuto sociale è infatti fonte di gravissimi episodi di violenza e di un maggior grado di insicurezza nella popolazione, come dimostrano gli esempi (ritenuti “virtuosi” dal parlamentare) di paesi come gli Stati Uniti d’America in cui la regolamentazione ultra-liberale in merito causa ogni anno centinaia di morti, vittime di stragi nelle scuole e nei luoghi pubblici ad opera di personaggi border-line i quali trovano proprio nell’atto violento uno sbocco per le proprie frustrazioni psicologiche e sociali.

La tesi di un’addestramento precoce all’uso delle armi è (se possibile) ancora più deleteria: porre dei bambini, dei ragazzi, ancora in piena via di sviluppo di fronte a degli oggetti come
pistole e fucili avrebbe infatti delle implicazioni estremamente destabilizzanti. Ad una “normalizzazione” delle armi da fuoco si collegherebbe senza dubbio una normalizzazione della violenza nella vita quotidiana, dal m
omento che il possesso di un’arma comporta necessariamente anche l’assunzione del potere di utilizzarla e della determinazione a farlo in caso di bisogno. Questa è però una dimensione estremamente soggettiva, in quanto ognuno di noi ha una propria sensibilità particolare e il bisogno di sicurezza può venire interpretato in modi estremamente differenti: la presenza di comunità straniere, di persone sgradite, di frustrazioni personali nella propria vita può venir infatti facilmente considerata una minaccia alla propria sicurezza fisica ma anche psicologica. Pertanto dei soggetti in via di sviluppo potrebbero assumere questa prospettiva senza porsi criticamente verso l’utilizzo della violenza e senza considerare adeguatamente le vie alternative per la risoluzione dei conflitti (comunicazione non-violenta, mediazione, ecc.).

Lascia poi quantomeno perplessi l’avanzamento di simili proposte (da parte di un deputato di un simile schieramento politico) in un periodo di forti pressioni verso il sistema scolastico, sottoposto ad una “cura dimagrante” forzata che lo priva ogni anno di maggiori risorse per portare a termine il proprio incarico: secondo Pamini, piuttosto che aumentare i fondi della scuola per proporre corsi di ripetizione, ridurre il numero di allievi per classe o per migliorare l’infrastruttura, occorrerebbe farlo per insegnare ai bambini a sparare? Pare proprio che il signor Pamini non abbia una visione particolarmente chiara di quali siano i problemi della scuola ticinese nel 2015…

Se le preoccupazioni dei membri del legislativo cantonale in merito all’istruzione sono queste, non dovrebbe più essere così difficile comprendere come mai il sistema scolastico ticinese è vittima di un’emorragia costante di risorse e di un generale abbandono da parte della classe politica: il SISA auspica quindi che i membri del Gran Consiglio si distanzino quanto prima da quanto espresso dall’onorevole Pamini e che questa boutade militarista possa fungere da spunto per una rivalutazione delle priorità e delle necessità urgenti della scuola ticinese (riflessione che, data l’evoluzione in corso, si rende più che mai necessaria), la quale ha bisogno ora più che mai di venir rimessa al centro dell’attenzione e di ricevere la considerazione di cui non può più fare a meno.S

1 Comment

  1. Salve, Ho iniziato la mia ceairrra lavorativa il 07/04/2008 con un’azienda informatica che poi e8 dovuta andare in liquidazione. Avevo un contratto di apprendistato di 48 mesi (part-time 60%) e ne ho frequentati 26 circa, concludendo il mio rapporto il 31/07/2010, data del licenziamento. Uno dei soci di quest’ultima azienda, nonche8 mio tutor, mi ha assunto (15/09/2010) nella sua nuova azienda con contratto di apprendistato di 20 mesi. Dopo aver portato a termine il mio di apprendistato di 20 mesi (ho lavorato sempre part-time 60% come apprendista programmatore) e aver raggiunto la qualifica di programmatore di terzo livello, il 14/05/12 mi viene rinnovato e trasformato il contratto da apprendistato a tempo indeterminato. Il 18/10/12 vengo licenziato. Ho presentato domanda di disoccupazione ordinaria e mi e8 stata respinta in quanto sostengono che da mete0 maggio 2012 al 18/10/12 abbia solamente maturato 23 settimane di contributi. Infatti questi mi sono stati versati solo a partire dal cambio di contratto a tempo indeterminato. Nei precedenti periodi il datore di lavoro non era obbligato a versarmi tale contributo. E’ mai possibile che io non abbia diritto a niente? Grazie, spero di essere stato chiaro. Buone feste a tutti. Fabrizio

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