Caro Rigozzi, vuoi farci tornare a ginnasio e maggiori?

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La scorsa settimana Gerardo Rigozzi ha rilasciato un’intervista al portale LiberaTV nella quale traccia la sua visione in merito al progetto di riforma della scuola dell’obbligo “La scuola che verrà”. In qualità di membro del gruppo di lavoro del PLRT che si occupa di analizzare il documento, l’ex-direttore del Liceo di Lugano e della Biblioteca cantonale formula una lunga serie di considerazioni che meritano una risposta.

Chi ha seguito il SISA nel recente passato sarà sicuramente a conoscenza dell’approccio fortemente critico che contraddistingue la nostra analisi del progetto di riforma. Tuttavia, non possiamo permettere che quel poco di buono che effettivamente vi è contenuto venga “gettato a mare” come intenderebbe fare Rigozzi.

Senza voler entrare nella polemica sulla distinzione tra pedagogisti e politici (figure che, a nostro modo di vedere, corrispondono a due ruoli inscindibili: chi si occupa di scuola si occupa necessariamente di politica, in quanto determina il futuro culturale della nostra società, e chi nega tale nesso è molto probabilmente intenzionato a nascondere il progetto sociale cui sottostanno le sue politiche scolastiche), iniziamo col rimarcare come non sembri passare mai di moda il vecchio mantra liberista per cui la “pressione dei fattori extrascolastici” non avrebbe nulla a che vedere con i risultati degli allievi. Ciò che é davvero sorprendente, è però la richiesta di maggiori dati scientifici da parte dell’intervistato: questi pare non essere a conoscenza dei dati forniti dal monitoraggio sul sistema scolastico ticinese “Scuola a tutto campo”, che attestano chiaramente come l’origine sociale ed etnica degli studenti incida in modo significativo sui loro risultati scolastici. A titolo d’esempio, inseriamo qui una tavola riportante i tassi di bocciatura differenziati per origine socio-economica (p. 48), da cui emerge chiaramente come gli allievi appartenenti alle classi sociali più elevate hanno dei tassi d’insuccesso molto più bassi – in ogni ordine di scuola – rispetto ai propri compagni meno benestanti.

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Rigozzi afferma in seguito che sarebbe una “pia illusione” credere che attraverso una differenziazione pedagogica come quella proposta dal documento si riuscirebbe a raggiungere “un’eguaglianza dei risultati”: e come negarlo? Questo nuovo approccio all’insegnamento (che in ogni caso presenta tutta una serie di elementi molto interessanti e validi) non può certo bastare: occorrono classi più piccole (le scuole medie ticinesi hanno la media di allievi per classe più alta della Svizzera!), lezioni di assistenza e sostegno allo studio, docenti di appoggio, aiuti finanziari allo studio ecc. Tutti strumenti smantellati e limitati per anni proprio dall’ex-partitone cui appartiene il nostro ex-direttore. D’altra parte non possiamo che condividere le sue preoccupazioni in merito al sovraccarico di lavoro cui sarebbero sottoposti i docenti: una riflessione in tal senso va prevista (prendendo in considerazioni aumenti dell’organico e riduzioni dell’orario di lavoro in classe – naturalmente a parità di salario!), ma ancora una volta non possiamo non notare l’ipocrisia che sottostà a questo discorso. Il PLRT, a fianco di Lega, PPD e UDC, è infatti sempre stato in prima linea nel difendere le riduzioni salariali, gli aumenti dell’orario di lavoro e i peggioramenti delle condizioni di lavoro degli insegnanti che si sono susseguiti negli ultimi 20 anni!

Ma il pezzo forte arriva ora. L’intervistato afferma che la diversificazione curricolare a partire dai 13-14 anni sarebbe “la via giusta”, perché “non si possono frenare ragazzi motivati allo studio, né frustrare gli allievi che hanno altri interessi” (come se fosse esclusivamente la propensione allo studio a determinare l’accesso di uno studenti ai livelli A o B…). A suo avviso occorrerebbe pertanto rafforzare e non abolire i livelli, estendendoli anche all’italiano: quello che sembra sempre più un ritorno alle “sezioni A e B” della prima scuola media (dove gli studenti, benché nella stessa scuola, seguivano dei corsi differenziati in tutte le materie)!

A Rigozzi ricordiamo che già oggi il sistema dei livelli esercita forti discriminazioni sociali sugli studenti, in quanto, ancora una volta, chi ha più soldi è in genere quello che ha maggiori probabilità di finire in un corso A. Nella tavola riportata qui di seguito (tratta sempre dall’edizione 2015 di “Scuola a tutto campo”) si evidenzia come ad esempio, tra gli studenti con capacità deboli in matematica, quelli provenienti da una classe sociale alta abbiano più del doppio delle possibilità di accedere ad un corso A di quante non ne abbiano quelli di una classe sociale bassa! Evidentemente questa è una grave violazione delle pari opportunità di istruzione dei cittadini e per questo la proposta di abolire i livelli è più che legittima, tanto più se accompagnata da una valida alternativa come la diversificazione pedagogica. Altro che estenderli all’italiano!

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L’ultima critica dell’intervistato si indirizza alla considerazione che le famiglie hanno dei livelli, troppo spesso – a suo dire – identificati come delle “patenti discriminatorie”. Secondo Rigozzi occorrerebbe quindi “ridare al livello 2 la dignità che merita”, anche perché dopo vi è sempre la possibilità di recuperare. Come no.

Ancora una volta ai nostri grandi pedagoghi non va proprio giù che il popolino non voglia ingoiare l’amara pillola della riproduzione sociale esercitata dalla scuola: per far sì che finalmente la smettano di voler fornire ai propri figli un futuro migliore del loro, occorrerebbe quindi dare un’immagine più fresca e rosea dei meccanismi di segregazione culturale cui la scuola fa capo per limitare le prospettive sociali delle fasce più basse della popolazione. Eppure l’attuale generazione di genitori ticinesi ha ancora vivo il ricordo della separazione tra ginnasio e maggiori, e di cosa significhi finire nelle scuola di serie B (ovvero vedersi preclusa qualsiasi futura possibilità di ascensione sociale): è quindi ben normale (e anche giusto) che vogliano evitare ai propri figli di finire nella situazione in cui loro sono stati costretti a vivere!

Infine, Rigozzi si scaglia contro la presunta volontà del DECS di “abbassare il livello della scuola attuale”. Non ci è pero troppo chiaro il suo ragionamento: sopprimere vincoli che hanno un impatto discriminatorio (dimostrato) sugli studenti o introdurre nuove forme di insegnamento basate su un maggior sostegno da parte del docente significa forse abbassare il livello della scuola? A nostro parere evidentemente no, ciò che ci pare invece di capire è che secondo il nostro ex-direttore tutto ciò andrebbe a rimettere in discussione lo status culturale privilegiato della classe dirigente attuale, che non è assolutamente disposta a mollare la presa su uno dei suoi più importanti strumenti di controllo e conservazione sociale: la scuola per l’appunto.

Prima di concludere, riteniamo però lecito soffermarci per un momento sui “silenzi” dell’intervista. Rigozzi infatti non tratta tutti gli aspetti innovativi proposti dal progetto di riforma, ma anzi sembra ben guardarsi dal trattare alcuni elementi che sono tuttavia centrali nel documento: l’insegnamento per competenze e l’autonomia degli istituti. Secondo il detto, “chi tace acconsente”. Ed è proprio questo a farci preoccupare (e non poco).

Uno dei rischi principali che avevamo evidenziato fin dall’inizio in merito alla “Scuola che verrà” era che la destra si adoperasse per  svuotarla di ogni aspetto positivo e progressivo, mantenendo invece tutti quegli elementi fortemente critici per l’equità e la pubblicità dell’istruzione. I fatti sembrano ora darci ragione: Bertoli ha sfornato una riforma di destra (in merito alla quale vi re-indirizziamo alla nostra analisi del progetto), condita con qualche proposta di sinistra, che al momento decisivo verrà però svuotata di ogni contenuto minimamente positivo e si trasformerà in una catastrofe per il diritto allo studio e per la scuola pubblica ticinese. Mentre i livelli e le medie d’entrata per il medio superiore verranno mantenuti, la scuola media verrà progressivamente trasformata in una rete di istituti autonomi, gestiti da manager scolastici e volti a trasmettere agli studenti esclusivamente delle competenze professionalizzanti che permetteranno loro di integrarsi a meraviglia (e soprattutto senza alcuno spirito critico e nessuna volontà di intervenire sulla realtà) nel mercato del lavoro.

Ottimo lavoro, caro Manuele!

(ritratto: Il Caffé)

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