“Io mi annoio”. Recensione del film “L’apprendistato”, di Davide Maldi (2019), 84’.

“Io mi annoio”. È l’unica vera affermazione pronunciata nel corso del film-documentario dal protagonista, in una pellicola in cui dialoghi sono in realtà solo monologhi degli insegnanti. Il silenzio e la lentezza sono caratteristiche che coincidono nella pellicola e nella realtà scolastica descritta da Davide Maldi.

Il film proiettato a Locarno racconta le difficoltà scolastiche e personali di Luca Tufano, adolescente sceso dall’alpe per frequentare un collegio alberghiero. L’apprendista cameriere ristoratore servitore fatica ad adattarsi all’ambiente cui è costretto, senza però scontrarsi con docenti, compagni ed istituto. Quest’ultimo, con rigide regole, insegna a servire gli ospiti con competenza. Si costruiscono così dei giovani lavoratori appiattiti ad una scala valoriale dove il cameriere deve essere privo di personalità, opinioni e desideri.

Il regista pone dunque al centro del discorso la mercificazione dell’adolescenza, come giustamente annota Daniela Persico. Chi fa, in concreto, questa reificazione, questa trasformazione dei giovani apprendisti in strumenti di lavoro per l’industria alberghiera? Come si trasforma un giovane pastore come Luca Tufano in un cameriere inanimato ed al contempo obbligato al sorriso e alla gentilezza?

È l’istituto scolastico a tentare di capovolgere i protagonisti della pellicola. Capovolgimento e trasformazione che riesce poco nel caso del protagonista, che è alienato, diviso tra il mondo alpestre cui è abituato e quello formativo cui è costretto. La scuola impartisce competenze e valori con metodi antiquati e assurdi per lo spettatore, tanto da scatenare il riso in sala. Cosa c’entra, in una scuola alberghiera, l’ora di religione? Come si può pensare di insegnare agli apprendisti a degustare il vino, facendo pratica con l’acqua del rubinetto?

Nel film-documentario emerge un aspetto molto veritiero e comune alla “nostra” realtà ticinese. Con le evidenti differenze che lo spettatore saprà cogliere, sia da noi sia nella pellicola i giovani in formazione, pur confrontati con un contesto non privo di difetti (strutturali, materiali, didattici), hanno difficoltà a reagire. Luca, pur ripreso ingiustamente ed educato con metodi vergognosi, si rifugia nel silenzio. L’educazione all’appiattimento dunque funziona. Lo vediamo spesso anche noi sindacalisti studenteschi: lo spirito critico non pare essere sempre un tratto giovanile. Sembra anzi che vi sia un’abitudine all’accondiscendenza, come se delle alternative migliori fossero inesistenti. Spetta dunque all’organizzazione studentesca rilevare i problemi, analizzarli e fare proposte concrete, per smuovere anche i coetanei più apatici.

Il pregio del film-documentario è dunque la vicinanza alla verità. Aderire così strettamente alla realtà del collegio di Luca Tufano è però anche un difetto del film: come l’istituto anche la pellicola è grigia, pedante e a tratti noiosa.

Mattia Passardi


Questo articolo è apparso nel 7° numero de L’Altrascuola, pubblicato nel mese di novembre del 2019 (leggi qui l’intero giornale).


 

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